Proprio come si suol dire e ridire all’infinito quando si parla di beni storici, artistici e culturali, l’Italia è il Paese delle meraviglie anche quanto a biodiversità: presenta il più elevato numero di habitat di interesse comunitario (a pari merito con la Francia).
E anche in tal caso, purtroppo, la gestione da parte dell’Italia delude; in entrambi i casi il nostro Paese, che ha ricevuto in dono questi due patrimoni comuni inestimabili, si dimostra tuttavia privo della doverosa volontà di proteggere e perpetuare gli stessi.
La meravigliosa ricchezza e varietà di forme di vita ed elementi che caratterizza la nostra penisola, frutto di millenni di evoluzione, sembra infatti essere destinato a ridursi progressivamente sino a rischiare di andare perduto: il 50% delle specie vegetali, il 51% di quelle animali e il 67% degli habitat protetti italiani si trovano attualmente in uno stato di conservazione non adeguato a causa dell’incuria o addirittura della malafede.

Biodiversità, by Elisabetta Foradori
Questo è il quadro impietoso che emerge dall’ultima (appena ultimata) delle relazioni che ogni sei anni l’Italia è tenuta a trasmettere alla Commissione europea e a rendere note al pubblico sullo stato di conservazione e sulla gestione della rete ecologica europea “Natura 2000”. Così prevede la direttiva cosiddetta “Habitat” 92/43/CEE, che nel lontano 1992 ha imposto agli Stati membri dell’UE (allora ancora CEE) l’obbligo di preservare la biodiversità presente nei loro territori tramite la creazione di tale vera e propria mappa di aree protette in tutto il territorio dell’Unione europea.
Più di vent’anni dopo, quindi, in Italia gli obiettivi di protezione della rete sembrano essere stati falliti. Secondo tale relazione elaborata dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e dal Ministero dell’Ambiente, in collaborazione con le regioni, delle specie di flora e fauna protette presenti nel nostro Paese circa una su due è a rischio; per gli habitat, siamo a più di due su tre.
A causare ciò, ed è questo il dato più allarmante, non sembrano essere state specifiche cause o fonti di pericolo, ma l’impatto dell’inquinamento, dell’urbanizzazione “selvaggia” degli ultimi decenni, dell’uso massivo di sostanze chimiche nell’agricoltura, dell’introduzione di specie alloctone in danno delle specie autoctone e, infine, cosa ancor più grave, semplicemente dell’incuria e inerzia di istituzioni e cittadinanza.
Scritto da associazionefattorez
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